L'idea, semplice, geniale, la ebbe qualche anno fa un ventiduenne programmatore di computer del New Hampshire, Casey Fenton, che lavorava oltre 100 ore alla settimana fissando costantemente un monitor. Esaurito, decise di prendersi un break: aveva solo tre giorni. Trovò un volo last minute a prezzo stracciato per l'Islanda. Poi si immaginò da solo, nelle strade ghiacciate di Rykjavik con la prospettiva, timido com'è, di non incontrare nessuno. Così, il programmatore del New Hampshire si trasformò temporaneamente in hacker ed entrò nella directory dell'Università dell'Islanda: scrisse a 1500 studenti: «Arrivo venerdì. Vorrei vedere la vera Islanda. Mi aiuti?».
Gli risposero in 50 e Fenton trascorse uno dei weekend più memorabili della sua vita stringendo amicizie che restano tali a tutt' oggi, dormendo nei garage, o restando sveglio con i suoi nuovi amici ad ammirare la notte artica. Voglio viaggiare così per sempre, si disse. E nelle cinque ore di volo dall' Islanda verso Boston ideò il couch-surfing. Disegnò e aprì un sito, couchsurfing.com, che fece il suo debutto in rete nel gennaio del 2004. Qui il surfer numero 1 metteva a disposizione il proprio divano invitando altri viaggiatori a fare lo stesso.
Oggi i surfer sono diventati oltre 150 mila da 212 differenti Paesi. Come funziona? Si sceglie uno pseudonimo e ci si iscrive al sito. Se poi si vuole si lascia un profilo più articolato, fotografie di sé e del proprio divano, il numero di notti e il numero di persone che si possono ospitare. Ognuno mette a disposizione ciò che può: magari solo il tempo per un caffé e per un consiglio, perché, come spiega Casey Fenton, «il Couchsurfing ha l' obiettivo di connettere luoghi e persone, creare scambi culturali, diffondere la tolleranza e facilitare la comprensione. Non è soltanto un modo per trovare sistemazione gratuita in giro per il mondo: consiste piuttosto nel creare connessioni che attraversano oceani, continenti, culture. Noi contribuiamo a fare della terra un posto migliore aprendo le nostre case, i nostri cuori, le nostre vite. Cambiamo il modo di viaggiare. E anche il modo in cui stiamo al mondo».
In Italia i surfer sono 2 mila. Ci sono gli "ambasciatori", che si occupano cioè di tradurre i testi dall' inglese nella lingua madre o di fare qualunque altra cosa possa essere utile alla diffusione della couch philosophy. Chi è ospitato non è costretto a ospitare a sua volta. È sufficiente condividere gli scopi della community. La sicurezza? Ci sono tre metodi che garantiscono fiducia: referenze personali che possono rilasciare sia ospitato che ospitante; un sistema di verifica dei propri dati con la carta di credito, senza alcun costo; voucher che gli ospitati emettono quando il soggiorno è stato particolarmente convincente. I limiti? In molti usano il sito e le possibilità che offre per avventure più o meno sentimentali. Che non è roba da veri surfer. Per loro c' è un solo verbo: "Participate in creating a better world,
one couch at a time".
fonte:repubblica.it
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